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attilio stocchi  info@attiliostocchi.it
architetto  09.03.01
SPAZI VIRTUALI. TRANSARCHITETTURE E IPERSUPERFICI
Il virtuale: “tutto ciò che è solido si trasforma in informazione”.
Partendo dal presupposto che la concezione dello spazio è radicalmente mutata, un gruppo di giovani architetti - ispirati dal pensiero di Paul Virilio e sedotti dai “telegrammi architetturali” di Peter Cook e dagli spazi musicali di Iannis Xenakis - ha teorizzato, negli ultimi dieci anni, una drastica trasmutazione dell’architettura: “Sono passati due secoli da quando Gauss si è reso conto per la prima volta di come la geometria euclidea fosse superata, e di come si fossero avviate una serie di rivalutazioni della natura dello spazio e del tempo. Siamo in ritardo di almeno due secoli nel trovare un’espressione architettonica per il mondo posteuclideo” così Markos Novak, tra i più vivaci sostenitori di architetture virtuali.
Due le novità che hanno creato le premesse per esplicitare queste nuove teorie architettoniche, entrambe legate innanzitutto allo sviluppo degli strumenti informatici. La prima è la possibilità di costruire o di osservare nuovi ambienti - immaginari - di elevata complessità spaziale, generati da algoritmi o geometrie inconcepibili senza l’ausilio elettronico, e talvolta di altrettanta complessità temporale, basati strutturalmente sulla realizzazione di processi evolutivi e organizzativi, così come un corpo vivente. La seconda è la possibilità di “simulare” questi luoghi, di rappresentarli con un grado di verosimiglianza - di veridicità? - tale da offuscare il confine tra mondo reale e mondo non reale.
Si creano orditure in territori alieni, vere trasmutazioni in spazi concettuali, fasi transitorie verso stati dell’essere completamente nuovi. Spazi virtuali che non percorrono la strada diurna, reale, effettiva della costruzione materica, né la strada notturna del sogno, dell’immaginazione, della rêverie: sono luoghi di costruzione dell’ombra. Ambienti difficilmente descrivibili perché costituiti fattivamente di informazioni, e le cui peculiarità - è vivace l’attuale dibattito per differenziare i due i risultati teorici e formali di questa sperimentazione: transarchitetture e ipersuperfici - sono ancor più difficilmente testimoniabili su carta. In sintesi: il termine transarchitettura descrive una trasformazione dell’architettura verso i confini che separano realtà fisica e non. Le transarchitetture sono “immersioni”, inserimenti del mondo nella realtà virtuale, realizzazioni di ciberspazi: universi paralleli, dove si può entrare e vivere. In questo tentativo di costruire ambienti “in potenza” alcuni scienziati hanno prodotto protesi che permettono di muoversi all’interno dei nuovi spazi per rendere il contatto sempre più verosimile. Il termine ipersupeficie descrive invece una tendenza speculativa nella stessa direzione, ma di verso opposto. Lo schermo del computer - superficie altamente interattiva e intelligente: una ipersuperficie - cerca di trasferire il virtuale nel mondo, e di far interagire questi due regni. L’ipersuperficie presenta e proietta fuori luoghi che non esistono, e sfida il dualismo tra mezzi di comunicazione e materia.
Ecco alcuni creatori di spazi virtuali.
Autori di transarchitetture e ciberspazi. Ammar Eloueini progetta a partire dalla simulazione dinamica: l’animazione diviene lo strumento della concezione. In “Metastasis 1999” Eloueini progetta le contrazioni e le dilatazioni di una sala da concerto, come se essa stesse “respirando”: una membrana interna vive con il ritmo del tempo musicale, quella esterna con i rumori della città. Il movimento delle alghe, nel progetto “Acqua Alta” genera una superficie fluida e omogenea; l’aria, un “etere da catturare” nel “Cultural Information Exchange Center” produce uno spazio che si dilata. Un approccio fondato su sistemi non lineari che risponde alla crescente complessità: “Le nuove tecnologie di cui disponiamo oggi ci permettono di esplorare e sfruttare le dimensioni rimaste sinora disabitate. La materia potrebbe anche svanire a beneficio della propria rappresentazione”. Markos Novak utilizza algoritmi informatici concepiti inizialmente come partiture musicali, per creare architetture che si muovono nello spazio mutando colori e forme. Queste singolari strutture interagiscono con chi entra dentro, diventando “attive”: intonano melodie controllate dai movimenti del visitatore. Novak si spinge oltre, progettando gli abitatori di questi ambienti. Christopher Romero in “Vortex 2000“ rende visibile il periodo di intensa e globale accelerazione nel quale alcune correnti della nostra società tecnologicamente avanzate sono riuscite ad espandere le aree della percezione e dell’esperienza umana. Queste forze rivelano territori sconosciuti all’interazione umana: parola chiave del progetto è “flusso dinamico”. Lars Spuybroek - noto e geniale architetto olandese: uno dei fondatori del gruppo NOX - nel progetto per un boulevard e un hotel sulla spiaggia di Noordwijk in Olanda visualizza e simbolizza lo smaterializzarsi dell’architettura nella parola “Beachness”: la sabbia della spiaggia viene concepita come uno stato di apertura e di non fissazione e l’albergo costruito in essa diviene un luogo fondato sulla “plasticità e sulla memoria”. Una sensuale architettura virtuale, da percorrere e da amare.
Autori di ipersuperfici. Kas Oosterhuis firma il progetto “trans_PORTs 2001” dove le forze esterne che costruiscono l’ambiente provengono da Internet. Stephen Perrella ricerca l’interazione tra immagine prodotta dallo schermo del computer e spazi da esso visualizzati: “siamo esseri dilatati e viviamo in due luoghi nello stesso termpo”. Nel progetto dell’”Institute of Electronic Clothing”, la forma viene considerata unicamente appartenente al “regno del computer”, luogo del piano bidimensionale, e serve per scoprire il processo dinamico, la frontiera tra realtà e virtualità.
Transarchitetture, ipersuperfici: salti nel vuoto, che trasfigurano il mondo fisico: progetti pervasi da una meccanica frenesia - a prefigurare una prossima ventura condizione dell’uomo -, luoghi e confini in serpeggiante attesa che non hanno ancora potuto e voluto incarnarsi. Avvicinarsi a questi mondi che ribollono, a queste interiora fluide, significa scoprire appetiti e pulsioni inaspettate. È percorrere architetture o immagini di gioco e al contempo onnivore. Per ora sono un affascinante gioco d’azzardo, un attraversamento, un rilancio al buio.

Con la collaborazione di Grazia Poli


Pubblicato originariamente su “INTERNI” n°500 aprile 2000