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manuel gausa  
architetto  26.05.05
CATALUGNA-ITALIA: ANDATE E RITORNI

Nel dibattito critico e di avanguardia che ha scosso l’architettura in Europa, durante l’ultimo decennio, si potrebbe tracciare una immaginaria linea verticale che unirebbe l’Olanda (il luogo dove si materializzano le idee), la Francia (il luogo dove si discutono) e la Spagna (il luogo dove si diffondono e…in qualche modo…si teorizzano con convinzione).
E l’Italia?… Che carta ha giocato l’Italia in questa trama spontanea?
L’Italia si è intravista, in tutto questo tempo, sommessa, in una strano letargo critico e culturale.
Ma, certamente, sotto questa ingannosa e lunga sonnolenza, qualcosa sembra muoversi oggi con volontà di rinnovamento.
E, con le difficoltà note, sembra giusto essere così.
E’ certo che gli innumerevoli sforzi per accedere ad una produzione innovatrice hanno teso - e tendono - in più occasioni, a scontrarsi, in Italia, con la routine di una gestione, pubblica e privata, con scarsa inclinazione verso la ricerca; ciò che, unito all’invecchiamento della struttura accademica, amministrativa e docente, alla sclerosi totale di certi modi storicisti di diffusione teorica, alla progressiva dissoluzione del dettato professionale dell’architetto, raccolto ancora nella vecchia esigenza di "autonomia disciplinare", hanno finito per impedire la possibilità di plasmare esplicitamente, il paese, di una nuova logica di conoscenza e concezione, più aperta e dinamica nella sue definizioni e manifestazioni, che emerge oggi con forza in diverse situazioni culturali.
Evidentemente queste difficoltà però trovano una condizione comune nell’ambito mediterraneo, pieno di una vecchia inerzia - e atteggiamenti - di stampo "patriarcale", di inclinazioni - culturali e commerciali - verso garanzie senza rischio.
E senza dubbio, tutto questo universo di codici distribuiti e intesi localmente, si scontra oggi con un nuovo scenario di interscambio globale, disciplinare e interdisciplinare, che ha cominciato a "fratturare", secondo Federico Soriano, gerarchie, insediamenti, modi e costumi troppo endogamici.
Fra Italia e Spagna (e specialmente fra Italia e Catalugna) questo interscambio di correnti e flussi ha avuto, e potrà avere, una speciale e privilegiata complicità, favorita dalla prossimità geografica, linguistica, culturale e…perché no?… Sociale. L’interscambio, questo movimento di andata e ritorno, restituirà, di fatto, una certa dinamica storica, non esente da parallelismi e molte diverse comuni fasi.
In diverse occasioni, alcuni architetti della mia generazione hanno avuto modo di sostenere come il prestigioso "modello Barcellona" e la sua magnificazione, a partire dall’occasione dei Giochi Olimpici del ‘92, non sarebbe stato possibile senza la sublimazione materiale - nel suo momento di culmine - l’inclusione, in definitiva, di tutta una serie di idee, criteri e concetti nati in Italia durante buona parte della seconda metà del secolo passato e che, convenientemente importati, reinterpretati e riadattati alla propria logica locale di concezione e produzione, hanno finito per configurare tutto l’universo calligrafico catalano.
Forse sarà bene ricordare anche come la grande crisi economica e ideologica di metà secolo - così come molti dei diversi movimenti culturali, politici e sociali con questa coincidente - ebbero conseguenze decisive in un certo riorientamento del pensiero, sulla gestione e la concezione urbana dell’ultimo trentennio del secolo passato.
Una tendenza che intendeva sancire la fine di un’epoca - e di una certa atmosfera - caratterizzata da una mixitè condivisa di euforia innovatrice e fiducia in una possibile costruzione moderna del progresso (secondo una certa visione ottimistica e epica del medesimo) superando la lunga epoca dell’operare con prudenza e restaurazione dei valori (la revisione del passato come paradigma) la quale, in questa nuova cornice di incertezza, intendeva sostituire l’idea rischiosa di innovazione per quella più tranquillizzante di continuità.
Un movimento di "revisione" nel quale discrezione e misura, gestione ponderata e rendita possibilista, ricostruzione e/o ricreazione, tradizione e costumi, preesistenza o esperienza (come parti consolidate o di consenso) e una certa concentrazione sul contesto locale come modello di azioni familiari, configurano la chiave di un periodo suggestivamente eclettico e "realista", che - con migliori o peggiori risultati - finisce per determinare molti dei referenti urbani, della didattica, produttivi, creativi e culturali più significanti degli ultimi anni. Referenti che avranno in Italia la loro base concettuale e a Barcellona l’applicazione più completa e pragmatica.
Questo forte vincolo ideologico con l’Italia va in direzione di evidenziare un processo dilatato di interscambio intellettuale che aveva avuto significativa influenza nel rinnovamento del panorama disciplinare di questo Paese: le frequenti visite, in piena autarchia, di Alberto Sartoris e Bruno Zevi nella Barcellona degli anni ‘40, le impronte neorealiste nelle architetture del Gruppo R, le influenze neoliberty e la riconsiderazione del segno della Scuola di Barcellona,negli anni ‘60, il dibattito intorno alla teoria Rossiana e Venturiana durante gli anni ‘70 o la forte connessione con il circolo Gregottiano durante gli anni ’80, hanno intrecciato una sottile rete di relazioni e vincoli, non sempre esplicitati.
Nella maggioranza degli studi di architettura catalani, del periodo olimpico e pre-olimpico, si guardava la Lotus di Nicolin, si collezionava la Domus, la Casabella di Gregotti, impregnando di riferimenti, segni e argomentazioni la propria soluzione progettuale o le proposte teoriche; materializzando, in tal modo, la particolare condizione di un nuovo scenario produttivo che traduceva il fruttifero reincontrarsi tra la società civile, l’ambito professionale e l’amministrazione pubblica.
Spazio pubblico/arredo urbano, attenzione al contesto, dialogo con la storia, analisi morfologica, saranno chiavi teoriche che impregneranno le differenti esperienza di progetto - e i molti "laboratori urbani" - basati sulla "ricostruzione" di Barcellona, una città con forti deficit di opere pubbliche, attrezzature e servizi.
Senza negare i valori di riequilibrio che questo scenario potrebbe aver convogliato è importente segnalare, anche, i limiti concettuali di un’atmosfera più protesa alla ricreazione che alla proposizione; all’esperienza più che all’emergenza; all’immagine di marchio più che alla scoperta di potenzialità; alla formazione di studi consolidati più che all’espansione creativa; al "codice" più che al "significato".
Indubbiamente il culminare, all’inizio degli anni ’90 di questa trama ideologica, coincide, in parallelo, con la propria e simultanea decadenza. Il cambio di secolo e l’esplosione di un nuovo scenario di trasformazione tecnologica e sociale, più comunicante, diverso e cosmopolita, ma anche di una nuova concezione dell’idea di progresso, non già come imposizione di un nuovo ordine universale ma come re-attivazione della propria realtà, hanno evidenziato la necessità di un ritorno all’innovazione più come ricerca suddivisa in diversi campi disciplinari che come mero, singolo "impegno" creativo.
Questo movimento critico è emerso con forza, fin dall’intuizione di un nuovo cambio di logica sensibile a questi processi, a questi flussi, alla capacità di relazione fra avvenimenti e informazioni, alla condizione dinamica, in definitiva, del nostro tempo e della sua propria naturalezza interattiva, manifestando così l’apparizione di un nuovo modello di ricerca più recettivo proprio verso questa naturalezza complessa e irregolare, informale, dei nuovi scenari.
Intuizioni, ricerche, esperienze e/o percorsi individuali hanno permesso di certificare un effetto, da diversi campi della conoscenza, l’evidenza di una certa "avventura collettiva" concretizzata in diversi spazi di incrocio e interscambio (la prima edizione del concorso Europan o il primo incontro Archilab in Francia, i territori della complessità scaturiti da OMA in Olanda, ecc.) evidenziando la necessità di proporre e avviare un’architettura più "estroversa", utilizzando il termine in tutta la sua accezione.
L’importanza in Spagna di certi gruppi legati all’attività docente di Madrid e la loro capacità teorica o il decisivo apporto, in Catalugna, di operazioni di stimolo e dibattito in ambito nazionale e internazionale, generate intorno alla ampia capacità di diffusione della rivista Quaderns, del gruppo Actar, l’Istituto di architettura avanzata Metàpolis e la sua piattaforma critico-teorica - vero anello di connessione - hanno contribuito a generare un certo corpo teorico e una nuova opinione intorno a questo cambiamento di paradigmi, al punto che non risulterà strana la volontà di tutta una generazione di rendere compatibile la pratica docente con la ricerca e lo sviluppo di nuovi "formati" di interscambio e comunicazione aperti a nuove idee e gruppi di progettazione emergenti.
Ed è evidente che, con il peso delle difficoltà e inerzie locali, tutto questo flusso di inquietudine ed energia si è analizzato e seguito con speciale rigore e interesse in Italia, da diversi fronti e scenari. Davanti alla difficoltà di "abbordare" i tradizionali scenari istituzionali, l’Italia è però stata pioniera nel far emergere e sfruttare le nuove occasioni digitali di comunicazione, le piattaforme di rete, i territori virtuali. Così come è stata specialmente propensa, verso un modo forse più individuale che istituzionale, di voler conoscere e riconoscere voci, esperienze e documenti esterni.
Non si pretende, comunque, in questo testo di approfondire il contesto nel suo insieme.
Soltanto interessa citare apporti isolati, come le iniziative originali di Marco Brizzi a Firenze, scommesse decisive come quelle di Fuksas e la sua importante proposta nella Biennale di Venezia del 2000, o le intenzioni di rinnovamento istituzionale come quelle di Luca Molinari nella Triennale di Milano, le complesse "avventure" editoriali di Pino Scaglione, Antonino Saggio, così come le spontenee "azioni" del gruppo Stalker; tra queste è necessario distinguere la rigorosa traiettoria di ricerca di Stefano Boeri a Milano e l’intensa attività sviluppata da IAN+ e Luca Galofaro a Roma.
Iniziative professionali che, sicuramente, non saranno uniche se non saranno riferite e inserite, in un modo più o meno esplicito, ad altre voci ed esperienze che iniziano a creare una virtuale zattera di navigazione fluttuante e delocalizzata: una piattaforma innovatrice costituita virtualmente da gruppi come Cliostraat, 2A+P, Nabito, Sciatto, che permettono di formulare una nuova linea indipendente di ricerca.
Sarebbe interessante sapere se da tutto ciò potrà dedursi un possibile "fronte di battaglia" comune, oltre le inquietudini individuali e le possibili - o impossibili - complicità… Però con molta certezza permettono di pensare una certa "latenza ideologica" più o meno contenuta, che inizia a confermare l’importanza esteriore di quelle giovani energie che hanno voluto conoscere di prima mano nuove idee e esperienze definite "più in là del contesto", e che, possibilmente contribuiranno a cambiare struttura e dinamiche in questa strana corrente di flussi e idee, di movimenti di andate e ritorni, dentro due territori Catalugna e Italia, non sempre coincidenti nello stesso momento di punta, però chiamati ad osservarsi e riconoscersi mutuamente da empatia e complicità.