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nib.com architecture texts - Critic
 
 
pierpaolo sestili  ppsest@yahoo.it
  23.04.02
"A" COME ARTE
”Non ha l’ottimo artista alcun concetto ch’un marmo solo in sé non circoscriva col soperchio…” Michelangelo Buonarroti

Quale senso può mai avere l’interrogativo se un artista faccia dell’arte figurativa o astratta?Se un architetto sia funzionalista o decostruttivista? E’ questa una querelle oziosa e, spesso, limitativa sia del significato dell'opera di un artista sia del grande concetto di arte che io coltivo.Paolo Uccello, Paul Klee, Duccio di Buoninsegna, Kandinsky, Piero della Francesca, i Futuristi,e ancora,Michelangelo, Mies, Kahn,e Frank loyd Wrighit, sebbene appartenenti a stili e periodi storici diversi, in realtà poi non lo sono affatto nei contenuti; ed è per questo che ritengo non giusto attribuire l'autenticità dell'opera d'arte solo a tendenze o a gruppi o a definizioni letterarie, come oggi spesso avviene. Avere la possibilità di esprimere emozioni e sollecitare suggestioni reali, fantastiche; stimolare l'immaginario (individuale o collettivo); spaziare in ogni direzione nell'etereo e fluttuante mondo del sogno, viaggiando sempre avventurosamente senza perderlo e tuttavia senza temere di valicare l'esile discrimen tra realtà e irrealtà delle cose e a queste dare forme e immagini e non-forme; tutto questo forse si avvicina al concetto di fare arte. Il “forse” è d'obbligo poiché ritengo che siffatto fenomeno sia qualcosa che vive dentro e fuori del tempo, al di là del definito delle cose reali ed irreali trovando in ciò la ragione ultima di tutto il fascino della sacralità. E l'uomo è solo lo strumento che produce. La grande (innaturale) sensibilità, il metodo di realizzazione, la capacità di cogliere le sensazioni della vita temporale, cosmica e acosmica, sono elementi che possono concorrere alla produzione di un'opera d'arte. Partendo da questa accezione ritengo logicamente naturale e spontaneo il fatto che l'autentico valore artistico di un'opera si raggiunga, o possa essere raggiunto, solo quando il pensiero energetico e creativo di un artista risulta libero da ogni forma di condizionamento derivante o da consumi o da mode sociali o da forme di aggregazione che molto spesso sono speculazioni materiali dell'uomo. L'arte nasce il più delle volte in solitudine e la riflessione da cui matura porta necessariamente ad una sorta di isolamento, che pone l'artista stesso fuori dai limiti del tempo reale producendo in lui dei traumi, delle crisi violentissime che solo in parte si verificano in opere d'arte. La mia posizione si colloca, in queste riflessioni, non nei termini di essere astratto o figurativo: spesso infatti paragono l'uomo artista ad un corpo celeste infinitamente piccolo rispetto agli altri circostanti, tuttavia capace di produrre una forza energetica sensitiva e sensibile talmente grande da riuscire a cogliere il significato dell'universo e sintetizzarlo in segni, in forme, in colori, in gesti, in strutture,in parole. Ricerco disperatamente il passato, portandomi alle origini con il solo grido di speranza di ritrovare le tracce, le radici di un istinto d'artista di cui ritengo l'individuo abbia confuso o forse perduto. La mia idea va compresa nel fatto che l'opera (architettonica,scultorea, pittorica, etc.) produce comunque un'immagine di forme, trasmette emozioni quali la speranza, la gioia, la tristezza, il mistero, la magia. L'arte dunque è vissuta come travaglio esistenziale dalla duplice connotazione, dove l'uomo carica sulle proprie spalle il fardello dell'individuo per logorare ogni resistenza della specie nei confronti dell'essere ed esprimere, attraverso il disagio della carne, l'ancor più grave fatica di consonare con il mistero del cosmo e dell'eterno. E allora le convulsioni dello spirito, avvertito sempre come incapace di svellere le catene del reale, in una lotta impari contro i limiti della sua condizione, lacerano il corpo in una continua ansia di ricerca di quella dimensione che si reifica nei gesti e nelle cose. Affanno e anelito, anelito e affanno, così di seguito in una danza altalenante che conduce l'artista, dopo il lungo travaglio, alla suprema gioia che in lui dura il breve spazio di un fuggevole attimo che precede l'avvio di un'ennesima teoria di sofferenze. Cosa conta dunque offrire definizioni di figurativo o concettuale o altro davanti al pathos che emana un'opera d'arte? Può forse la mente svelare un arcano che solo lo spirito, talvolta, appena avverte?
Pierpaolo Sestili