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Giovanni Zallocco  erregi@erregigroup.com
Ingegnere  20.12.20
LA PROGETTAZIONE CREATIVA TRA REALTA' VIRTUALE E BIM

SECONDA PARTE: Le difficoltà in Italia

Come ho già argomentato nella Prima Parte delle mie considerazioni, in Italia, gli ingegneri e gli architetti trovano molte difficoltà ad esprimere il proprio estro, la loro fantasia, addirittura, spesso, gli è preclusa ogni visione innovativa nello svolgimento del loro lavoro.
Le difficoltà di un progettista che voglia essere creativo nascono in primo luogo dalla miopia dei committenti, degli imprenditori, ma anche degli stessi professionisti, nella valutazione non lungimirante della dinamica costi benefici delle opere progettate, che deve avere un respiro ampio, proiettato sulla vita intera dell’opera, attribuendo un maggior peso alla componente “economica” in senso estensivo, con la valorizzazione degli aspetti meno immediatamente tangibili, quali le condizioni di sicurezza, anche percepita, l’attrattività estetica, l’iconografia, la valorizzazione del contesto urbano/paesistico in cui l’opera si colloca.
Questa visione dovrebbe appartenere soprattutto alla committenza, affinché sia disposta a premiare le proposte innovative e creative, anche coraggiosamente.
Va altresì evidenziato l’atteggiamento di imprese e progettisti che, privilegiano la via più semplice, nella ricerca dell’utile immediato, riducono gli sforzi e si adagiano sulla routine: manca molto spesso ogni volontà di proporre e di stimolare la stessa committenza.
Si rileva quindi una sconfortante dissinergia fra committente e costruttore/progettista.
A questi attori vanno però concesse molte attenuanti: è necessario infatti sottolineare il grande ostacolo loro frapposto dalla normativa vigente, sempre più complessa e rigida.
Chi concepisce ed emana le normative, che regolano il mondo delle costruzioni, è condizionato dal timore di innescare illeciti, o per lo meno rischi sulle condizioni di par conditio. Tutto questo mortifica ogni forma di libertà di espressione delle proprie idee innovative e finisce pertanto per indirizzare il settore verso un appiattimento esasperato, che uccide ogni creatività.
Per di più, i pubblici funzionari, che sono portati a giudicare le proposte delle imprese o dei progettisti, si indirizzano verso scelte applicative delle norme sempre conservative, nel terrore di incappare in violazioni che possano essere perseguite dalla magistratura in sede penale o di essere soggetti a danno erariale. Oppure hanno il timore di dar vita a processi infiniti di contenziosi fra concorrenti, con ricorsi portati a tutti i livelli, ed il rischio di rinviare a tempi non prevedibili la realizzazione dell’opera, con la perdita anche dei finanziamenti.
Negli anni 70/80 era possibile, da parte di un Amministrazione, sia governativa che locale, recepire l’idea progettuale di un professionista, anche fosse una società, o la realizzazione di un prototipo innovativo da parte di un’industria o di un’impresa di costruzioni, premiando il proponente con una commessa/incarico, senza necessità di gara.
È evidente che ci siano stati molti abusi nell’applicare questa formula. Per evitare questo ci si è chiusi a riccio, ponendo dei limiti alle “trattative private”, tali da frustrare qualsiasi velleità creativa.
Un professionista, per esempio, che proponesse un’idea brillante, vedrebbe, vinta ogni diffidenza o timore da parte dell’interlocutore istituzionale, a lui riconosciuta una cifra irrisoria (sotto soglia) per “comprare” la sua idea. Questa idea verrebbe poi messa in gara, vedendo le chances del promotore di dare concretezza al suo sforzo intellettuale ridotte al minimo. A questo punto l’idea non è più di sua proprietà ed i regolamenti di gara premiano di norma concorrenti più aggressivi e solidi finanziariamente, dotati di struttura aziendale più organizzata.
Un altro esempio di questa “sterilizzazione” della creatività si può fare analizzando la tipologia di gara “economicamente più vantaggiosa”, applicata sia per gli appalti che per i servizi di ingegneria.
Il superamento della formula, ancora peggiore, del massimo ribasso, in linea teorica, sarebbe da considerare in modo positivo.
Come noto, la formula contenuta nel codice degli appalti e che ha avuto negli anni varie evoluzioni, consiste nell’omogeneizzazione, secondo opportune proporzioni, l’offerta economica con l’offerta tecnica, quest’ultima con peso preponderante. Finalmente il valore tecnico e con esso la creatività, prevale! Proprio no.
Nel timore di una eccessiva discrezionalità della commissione giudicatrice, forse anche, della sua scarsa capacità tecnico-culturale di valutare adeguatamente le proposte tecniche, vengono fissate regole così vincolanti, che di fatto finisco per equiparare tutte le proposte tecniche, facendo ancora prevalere l’offerta economica. O, peggio, lasciando alla fine ampia discrezionalità alla commissione giudicatrice, che fra proposte molto simili può scegliere quello che vuole, anche solo per una suggestione sull’estetica degli elaborati presentati.
Vengono posti talmente tanti vincoli alla proposta tecnica che difficilmente il proponente è libero di proporre le sue idee.
Nel disciplinare sono definiti in modo rigido i parametri su cui formulare il giudizio. Per esempio, si vuole privilegiare aspetti ambientali e di contenimento energetico, l’efficienza di cantieri, anche in termini di impatto sui territori, i miglioramenti strutturali e dei materiali ai fini manutentivi, etc...
In linea di principio, vengono anche messi in risalto i differenti interessi dei diversi stakeholders: per il gestore di una strada, per esempio, prevale l’attenzione sugli aspetti manutentivi, all’Ente locale preme salvaguardare l’ambiente e minimizzare i disagi che i cantieri portano durante la costruzione. Il progettista deve trovare la sintesi fra questi fattori, spesso anche contrastanti. E la commissione giudicatrice deve essere in grado di apprezzare e fare una sintesi delle diverse proposte, attribuendogli un valore non aleatorio.
Ma poi vengono posti, nel disciplinare, dei limiti rigidissimi alle varianti migliorative, non volendo correre il rischio di problemi successivi, con gli espropri o con i pareri dei vari stakeholders: per esempio, nel caso di una strada, viene inibita ogni variante al tracciato planoaltimetrico. In più non viene mai chiesta una precisa valutazione costi benefici delle proposte, operata attraverso una chiara dimostrazione basata su dati oggettivi. Il miglioramento proposto, comporta evidentemente un costo maggiore nella realizzazione, ma penalizza di contro il ribasso ed il relativo punteggio economico.
Mi è capitato spesso che l’impresa abbia rinunciato, poco prima della scadenza della gara, ad alcune proposte tecniche, anche brillanti, preferendo risparmiare quei costi per aumentare il ribasso.
Ho abbastanza esperienza anche al di fuori del nostro paese e non mi sembra che ci sia tutta questa rigidezza nelle normative. Poi, però quando vengono rilevate anomalie o addirittura comportamenti illeciti, questi vengono puniti con rigore e in tempi contenuti. Comunque, ahimè, in Italia, i problemi descritti impattano solo “i comuni mortali”: ho visto negli anni tante eccezioni, che hanno riguardato le cosiddette “Archistar”, per lo più straniere, cui è stata riservata, anche da Amministrazioni Pubbliche un “fast track”, seppur con procedure “border line”. Ma, noblesse oblige…
Infine, devo segnalare quanto sia complesso e disincentivato in Italia il Project Financing. L’iter è articolato e con esito a tempi lunghi, oltre che incerto, in cui il rischio imprenditoriale è tutto sulle spalle del Promotore. Ed in una situazione in Italia di instabilità politica, di continua volubilità di leggi e normative, di lentezza e imprevedibilità delle cause civili e penali, il costo del denaro, soprattutto da fonti internazionali, è molto caro, sempre che se ne trovi la disponibilità.