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Maria Chiara Dolce
Architetto
09.06.20
Archicitizens
ARCHICITIZENS. IL PROGETTO DEI BENI COMUNI E CONFISCATI
Ciclo di conferenze: “Conversazioni con...”
Laboratorio di ricerca LabCity Architecture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Palermo
Prof. Arch. Renzo Lecardane, LabCity Architecture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Palermo
Arch. Luigi Centola - Centola&Associati / NewItalianBlood, Salerno
Arch. Domenico Pastore - Docente DICAR / Politecnico di Bari
Arch. Vincenzo Bagnato - Senior Lecturer DICAR / Politecnico di Bari
https://www.youtube.com/watch?v=xRUV6iW_TGs
“La società si è costituita per mezzo della comunicazione: le astrazioni inventate da un individuo e trasferite ad altri individui diventano così beni comuni” (Yona Friedman, Utopie realizzabili, 1974).
La conversazione verte essenzialmente sul ruolo della comunità nel progetto di architettura, soprattutto se questo interviene sui beni confiscati alle mafie. L’arch. Luigi Centola mostra da subito il suo metodo manifestando il contenuto del titolo “Archicitizens”, secondo cui lo stesso architetto, prima di essere tale, ricopre il ruolo di cittadino all’interno del contesto urbano.
Il suo approccio alla progettazione, mostratoci con una serie di progetti sul tema dei beni confiscati, ha illustrato, oltre che un attento studio del territorio e del paesaggio che abbraccia i manufatti in questione, una sensibilità verso il capitale umano ed un’economia sociale. Molteplici gli ambiti di intervento che spaziano dalla costa salernitana, al centro storico di Napoli, fino a raggiungere luoghi reconditi del casertano. Un esempio, che esplica pienamente quanto detto, è l’Educational Farm, presso Santa Maria la Fossa, che trasforma un bene confiscato in una fattoria sociale. L’intervento punta sulla sensibilizzazione dei cittadini, questi sono chiamati a gestire e curare 2700 eco-vasetti, ripartendo così dal senso di partecipazione ed interazione della comunità, che diventa metafora del rifiuto della demolizione del manufatto, quindi una sfida non più solo per l’architettura. Il progettista sottolinea l’efficacia e l’immediatezza di queste piccole pratiche di partecipazione e sensibilizzazione, sottile differenza da una pratica architettonica, che potrebbe dare al fruitore di quello spazio la possibilità di intervenire concretamente sul manufatto, non deturpandolo ma completando quanto dettato dal progetto, quale potrebbe essere l’intervento Elemental di Alejandro Aravena, in Cile, dove, partendo da alloggi standard, gli abitanti vengono coinvolti nell’ampliamento o nella trasformazione degli spazi, preservando comunque il carattere della struttura.
L’approccio progettuale che l’arch. Centola chiarisce diventa motore trainante all’interno della no profit NewItalianBlood (NIB) e dei Master Architettura|Ambiente e Progettazione|BIM con sede nella stazione marittima Zaha Hadid di Salerno, che punta, anche, sulle potenzialità del riuso dei beni confiscati, e annualmente offre tale esperienza ai laureati di tutta Italia.
Tutto il meridione è già stato mappato, la sola Sicilia presenta 6800 beni confiscati alla mafia, ognuno di questi spinge ad attuare nuove pratiche sostenibili che non cancellano, o demoliscono, l’edificio ma lo riscrivono, lo stratificano, rendendolo emblema di un nuovo senso di civiltà, un’etica non più da occultare. La costruzione assume un nuovo aspetto, il cui fine è quello di non essere scalfito, degradato, vandalizzato, anche se il proprio contesto rimane sempre in divenire. Nei programmi attualmente in corso, per combattere il “walfare mafioso”, si punta al coinvolgimento degli artisti, in collaborazione con Artribune, come occasione di legalità e riscatto, per dare voce alla memoria e crearne una nuova. La ricerca di un simbolo, un segno netto e visibile, in nuove forme di arte, che potrebbe non essere più solo street art ma anche e soprattutto performativa, trasformando questi spazi in manifestazioni di landart e nuove quinte sceniche.
La questione degli immobili sequestrati potrebbe essere ribaltata portandosi dietro il problema dell’abusivismo e quello che ormai è noto come un nuovo stile architettonico che è l’Incompiuto, rappresentazione del non-finito nell’attuale contesto socio-culturale, luoghi che non hanno avuto l’opportunità di far emergere o costruire un proprio carattere.
La conferenza così auspica, prima di affrontare e approfondire tali contenuti, all’innesto di una rete del sud che vede in primis Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Basilicata comunicare e collaborare all’interno di un progetto comune di ricerca; a tal proposito la conversazione lascia spazio agli architetti Domenico Pastore e Vincenzo Bagnato.
L’arch. Domenico Pastore interviene illustrando il masterplan del Tirana Student City, un concorso del 2015 che richiedeva una proposta per il campus universitario di Tirana. L’azione punta su quel brano di città in cui riconosce il potenziale futuro, progettando più di 10.000 unità abitative per studenti. Il progetto tiene in considerazione la possibilità di recuperare gli edifici esistenti, combattendo l’abusivismo, attraverso un sistema plug-in di torri cilindriche. Il programma di nuova costruzione vede invece un sistema “a snake” continuo, contenente le residenze: l’obiettivo è quello di evitare la dispersione degli edifici, la saturazione e il consumo del suolo (seguendo le linee dell’edificio concepito su pilotis di Le Corbusier), restituendo quest’ultimo allo spazio pubblico, cui si pone la centralità della Piazza Demokracia come luogo di memoria collettiva. L’intervento raggiunge così uno sviluppo considerevole, dal punto di vista urbano, diversamente invece nei progetti dell’arch. Vincenzo Bagnato che si muove nella grande scala. L’intento, anche in questo caso, è quello di riciclare gli spazi accidentati, come ad esempio per il quartiere di San Girolamo a Bari, luogo residuale da costruzioni di bassa qualità, per cui viene progettato un giardino urbano: si innalza la complessità dello spazio per potenziarlo e diversificarlo. Cinque bacini innalzano il terreno definendo aree verdi, piccole piazze e percorsi; i lembi sollevati, che in principio avrebbero dovuto generare delle gradonate, diventano delle sedute che rispondo all’esigenza di arredo urbano. Protagonista dello spazio pubblico è la pietra Apricena, che marca l’attenzione dell’architetto verso la scelta dei materiali, che si manifesta anche nel progetto per il Museo Civico del Corallo Bianco di Santa Maria di Leuca, Lecce, in cui ritroviamo invece la pietra cangiante di Cursi, combinarsi con la pavimentazione in battuto di cemento. Il punto di partenza è un edificio usato come scuola elementare con un’area verde, per cui il lotto di pertinenza dialoga con la strada. Si punta ad un adeguamento funzionale per poter utilizzare lo spazio pure nel periodo estivo, anche a discapito del verde esterno. Viene risolto il problema dell’accesso che risultava non conforme con l’abbattimento delle barriere architettoniche e il salto di quota è superato grazie all’introduzione di un parapetto che diventa anche seduta, implementando la fruibilità degli spazi.
I casi riportati dagli architetti mostrano una esemplare flessibilità e sostenibilità degli spazi, progetti apripista che innescano riflessioni, implementando così l’idea che, nonostante la scala di intervento, il principio e il programma funzionale siano congrui e volti ad innescare spunti per il futuro, ma anche per il presente, di una architettura del lavoro, della cultura e dell’aggregazione.