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ARCHITETTURA MATASSONI
Alessandro e Leonardo Matassoni
25.02.16
LE DUE VIE
“… la scienza, prima di essere esperimenti, misure, matematica, deduzioni rigorose, è soprattutto visioni. La scienza è attività innanzitutto visionaria. Il pensiero scientifico si nutre della capacità di “vedere” le cose in modo diverso da come le vedevamo prima….”
Carlo Rovelli
“… l’immaginazione è più importante della conoscenza…”
Albert Einstein
A volte capita di sentir parlare dell’eleganza di una teoria scientifica ma dato che solo in pochi ne padroneggiano il linguaggio, la sua bellezza rimane confinata all'apprezzamento della comunità relativamente ristretta che può comprenderlo; in generale però non c’è dubbio sul fatto che un’idea possa esser bella ed elegante in sé e questo lo possiamo capire tutti perché la poesia, che invece usa un apparato linguistico comprensibile ai più, ne è piena!
Esiste una forma di bellezza che potremmo chiamare “intrinseca”, che non ha bisogno di espressione materiale per rivelarsi e che può appartenere a qualunque linguaggio tanto che, allargando il concetto tradizionale di “arte”, si potrebbe affermare che anche una formula matematica può essere un’espressione artistica! Se questo è vero allora il fatto che pochi la possano comprendere e tutti gli altri si debbano fidare, è solo un incidente casuale!
Questo apre alcune questioni importanti.
E’ lecito questo allargamento del concetto “normale” di arte? La canonica linea di separazione netta tra arte e scienza ha ragioni valide o è una semplificazione superata?
Il nucleo dell’idea della relatività generale elaborata da Einstein cent’anni fa, per esempio, è contenuto in una formula semplice e breve in cui il grande scienziato mise in relazione diretta la curvatura dello spazio-tempo con la presenza concentrata di energia in neanche un rigo! Una breve espressione matematica considerata unanimamente dai fisici un miracolo di semplicità e sintesi omnicomprensiva e un’opera d’arte al pari dei grandi capolavori!
Può esserci bellezza in ogni tipo di espressione che raggiunga un livello lirico perché questa è connaturata alla sintesi e non al mezzo espressivo, indipendentemente dalla forma di pensiero da cui deriva; la poesia è la sintesi di un intero cosmo interiore in poche parole e la stessa cosa vale per le altre forme d'arte e analogamente, può valere anche per la scienza.
Insomma se la soluzione di una complessità attraverso la sintesi tocca la poesia, allora può esserci arte anche in un enunciato scientifico e anzi, potremmo aggiungere che quando c'è, è di un tipo più puro, in un certo senso senza tempo perché emancipato dalla forma e quindi dal formalismo che spesso affligge l'arte. Essa invece, così com’è intesa usualmente, sembra non potersene liberare mai del tutto perché minata dal ''peccato originale'' di comunicare solo attraverso un linguaggio che per natura può aprirsi ad eccessi, deviazioni e manierismi.
Il carattere esclusivo del linguaggio scientifico è senz’altro una barriera ma esistono anche altri elementi, più sottili, che alimentano il comune scetticismo riguardo alla possibilità della scienza di esprimersi anche liricamente.
Il cinismo utilitaristico indotto dalle sue ricadute tecnologiche per esempio è uno di questi. Esso nasce dal successo stesso dei suoi “effetti collaterali”, sotto forma di applicazioni, che risolvendo problemi pratici e migliorando la qualità di vita innescano un fenomeno di diffusione di massa, consumistico, che ignora del tutto l’inizio del processo limitandosi a sfruttarne le conseguenze pratiche.
Effettivamente, sotto alcuni punti di vista, arte e scienza così come sono intese canonicamente, sembrano separate da distanze profonde; anche quella artistica è un’attività di tipo speculativo, ma con la differenza sostanziale che non si rivolge verso l’esterno, come la scienza, ma verso l’interiorità dell’essere umano vista attraverso lo specchio della forma. L’oggetto dell’arte è quello spazio nebuloso e quella dimensione subliminale e sfuggente, per quanto la si sondi da secoli, quell’abisso in cui la coscienza si attenua e dal quale emerge il barlume di comprensione profonda che è l’inizio del processo creativo e che chiamiamo ispirazione.
Il fenomeno tecnico-scientifico è sempre legato alla percezione della direzione temporale, alla “freccia del tempo” perché il suo fronte è in espansione ed avanza proporzionalmente alla velocità con cui risolve enigmi. Quello artistico invece, potrebbe essere considerato “un processo cognitivo circolare” o ciclico (se si considera il passare del tempo) ed il suo orizzonte è stabile e invariante. Dalla prospettiva umana ma anche da quella storica infatti, esso non è mai cambiato nella sostanza perché se l’interiorità è una proiezione della mente, allora i suoi mutamenti sono legati alla lentezza della biologia e ai suoi ritmi darwiniani.
Nonostante tutto questo, la posizione culturale tendente a separare le “due vie cognitive” probabilmente, parte da una premessa di fondo fuorviante alimentata anche da quel riduzionismo fondante la modernità che semplifica per poter comprendere. Appare innegabile anzi, che la linea di confine tra arte e scienza è molto più evanescente di quanto possa sembrare di primo acchito in ordine a quanto, in una mente sana, i processi logico-deduttivi e quelli sintetico-olistici sono inestricabili e fusi. Ogni scintilla di intuizione, tanto scientifica quanto artistica (ispirazione), emerge dalle stesse profondità del pensiero a coscienza ridotta così come ogni processo, tanto artistico quanto scientifico, necessita di un lunga elaborazione razionale; in un certo senso si potrebbe affermare che non esista scienza che non contenga anche arte e viceversa.
Ci sembra anche chiaro che “le due vie” condividano la stessa un’origine psicologica nascendo da un bisogno profondo non immediatamente associabile a finalità pratiche, al contrario di quanto si potrebbe pensare per l’attività scientifica. La necessità di sapere e di capire, che non è semplice curiosità, ma un impulso profondo tutt’altro che razionale all’inizio, nasce come l’arte come un effetto collaterale della percezione della bellezza del mondo. L’uomo di fronte ad essa non ha potuto fare a meno di cercare di riviverne l’emozione trasmettendola attraverso il filtro della propria interiorità ed è nata l’arte; ma non ha neanche potuto fare a meno di interrogarsi sul suo mistero, di cercare di penetrarlo, appena ha potuto disporre degli strumenti adatti, ed è nata la scienza.
Probabilmente è da questo incanto di fronte all’immensità, al mistero ed alla bellezza della natura che potrebbero essersi originate tutte le forme di spiritualità, le attività speculative a carattere logico-deduttivo, intrise di misticismo fin quando c’è stata la necessità di dover sopperire alla mancanza di comprensione, ma anche quelle cognitive olistico-sintetiche, il tutto mescolato in una sensibilità organica pervasa dal senso di comunione con il subconscio cosmico. Successivamente, quando gli strumenti razionali hanno raggiunto un grado di efficacia tale da non richiedere più alcuna azione suppletiva, hanno reclamato la propria indipendenza separandosi dai processi sintetico-gestaltici ritenuti ormai incompatibili.
Misticismo, scienza ed arte allora, si sono separati e l’uomo moderno si è dissociato (MacLuhan), riducendo tutto ad un sistema analitico per modelli semplificati: una forma mentale a cui sono legati tutti i processi moderni e che ha consentito alla civiltà contemporanea di raggiungere i suoi grandi numeri e la sua potenza, pagando questo prezzo.
Ma più di recente, la sicurezza deterministica della scienza è entrata in crisi già all’inizio del XX° secolo con la relatività del concetto di tempo e spazio introdotta dalle teorie einsteiniane, ed è stata definitivamente disintegrata dalle stranezze probabilistiche della meccanica quantistica (che lo stesso Einstein non riuscì mai ad accettare); è emersa così una nuova sensibilità che oggi, là, sul quel fronte dove si cerca di immaginare ciò che non è mai stato immaginato prima, si nutre della capacità visionaria e immaginifica che viene sempre prima del rigore scientifico e ne costituisce le radici profonde. Questa è l’unica linfa vitale che alimenta qualunque nuova ipotesi e ogni attività creativa.
Senza distinzioni!
Carlo Rovelli
“… l’immaginazione è più importante della conoscenza…”
Albert Einstein
A volte capita di sentir parlare dell’eleganza di una teoria scientifica ma dato che solo in pochi ne padroneggiano il linguaggio, la sua bellezza rimane confinata all'apprezzamento della comunità relativamente ristretta che può comprenderlo; in generale però non c’è dubbio sul fatto che un’idea possa esser bella ed elegante in sé e questo lo possiamo capire tutti perché la poesia, che invece usa un apparato linguistico comprensibile ai più, ne è piena!
Esiste una forma di bellezza che potremmo chiamare “intrinseca”, che non ha bisogno di espressione materiale per rivelarsi e che può appartenere a qualunque linguaggio tanto che, allargando il concetto tradizionale di “arte”, si potrebbe affermare che anche una formula matematica può essere un’espressione artistica! Se questo è vero allora il fatto che pochi la possano comprendere e tutti gli altri si debbano fidare, è solo un incidente casuale!
Questo apre alcune questioni importanti.
E’ lecito questo allargamento del concetto “normale” di arte? La canonica linea di separazione netta tra arte e scienza ha ragioni valide o è una semplificazione superata?
Il nucleo dell’idea della relatività generale elaborata da Einstein cent’anni fa, per esempio, è contenuto in una formula semplice e breve in cui il grande scienziato mise in relazione diretta la curvatura dello spazio-tempo con la presenza concentrata di energia in neanche un rigo! Una breve espressione matematica considerata unanimamente dai fisici un miracolo di semplicità e sintesi omnicomprensiva e un’opera d’arte al pari dei grandi capolavori!
Può esserci bellezza in ogni tipo di espressione che raggiunga un livello lirico perché questa è connaturata alla sintesi e non al mezzo espressivo, indipendentemente dalla forma di pensiero da cui deriva; la poesia è la sintesi di un intero cosmo interiore in poche parole e la stessa cosa vale per le altre forme d'arte e analogamente, può valere anche per la scienza.
Insomma se la soluzione di una complessità attraverso la sintesi tocca la poesia, allora può esserci arte anche in un enunciato scientifico e anzi, potremmo aggiungere che quando c'è, è di un tipo più puro, in un certo senso senza tempo perché emancipato dalla forma e quindi dal formalismo che spesso affligge l'arte. Essa invece, così com’è intesa usualmente, sembra non potersene liberare mai del tutto perché minata dal ''peccato originale'' di comunicare solo attraverso un linguaggio che per natura può aprirsi ad eccessi, deviazioni e manierismi.
Il carattere esclusivo del linguaggio scientifico è senz’altro una barriera ma esistono anche altri elementi, più sottili, che alimentano il comune scetticismo riguardo alla possibilità della scienza di esprimersi anche liricamente.
Il cinismo utilitaristico indotto dalle sue ricadute tecnologiche per esempio è uno di questi. Esso nasce dal successo stesso dei suoi “effetti collaterali”, sotto forma di applicazioni, che risolvendo problemi pratici e migliorando la qualità di vita innescano un fenomeno di diffusione di massa, consumistico, che ignora del tutto l’inizio del processo limitandosi a sfruttarne le conseguenze pratiche.
Effettivamente, sotto alcuni punti di vista, arte e scienza così come sono intese canonicamente, sembrano separate da distanze profonde; anche quella artistica è un’attività di tipo speculativo, ma con la differenza sostanziale che non si rivolge verso l’esterno, come la scienza, ma verso l’interiorità dell’essere umano vista attraverso lo specchio della forma. L’oggetto dell’arte è quello spazio nebuloso e quella dimensione subliminale e sfuggente, per quanto la si sondi da secoli, quell’abisso in cui la coscienza si attenua e dal quale emerge il barlume di comprensione profonda che è l’inizio del processo creativo e che chiamiamo ispirazione.
Il fenomeno tecnico-scientifico è sempre legato alla percezione della direzione temporale, alla “freccia del tempo” perché il suo fronte è in espansione ed avanza proporzionalmente alla velocità con cui risolve enigmi. Quello artistico invece, potrebbe essere considerato “un processo cognitivo circolare” o ciclico (se si considera il passare del tempo) ed il suo orizzonte è stabile e invariante. Dalla prospettiva umana ma anche da quella storica infatti, esso non è mai cambiato nella sostanza perché se l’interiorità è una proiezione della mente, allora i suoi mutamenti sono legati alla lentezza della biologia e ai suoi ritmi darwiniani.
Nonostante tutto questo, la posizione culturale tendente a separare le “due vie cognitive” probabilmente, parte da una premessa di fondo fuorviante alimentata anche da quel riduzionismo fondante la modernità che semplifica per poter comprendere. Appare innegabile anzi, che la linea di confine tra arte e scienza è molto più evanescente di quanto possa sembrare di primo acchito in ordine a quanto, in una mente sana, i processi logico-deduttivi e quelli sintetico-olistici sono inestricabili e fusi. Ogni scintilla di intuizione, tanto scientifica quanto artistica (ispirazione), emerge dalle stesse profondità del pensiero a coscienza ridotta così come ogni processo, tanto artistico quanto scientifico, necessita di un lunga elaborazione razionale; in un certo senso si potrebbe affermare che non esista scienza che non contenga anche arte e viceversa.
Ci sembra anche chiaro che “le due vie” condividano la stessa un’origine psicologica nascendo da un bisogno profondo non immediatamente associabile a finalità pratiche, al contrario di quanto si potrebbe pensare per l’attività scientifica. La necessità di sapere e di capire, che non è semplice curiosità, ma un impulso profondo tutt’altro che razionale all’inizio, nasce come l’arte come un effetto collaterale della percezione della bellezza del mondo. L’uomo di fronte ad essa non ha potuto fare a meno di cercare di riviverne l’emozione trasmettendola attraverso il filtro della propria interiorità ed è nata l’arte; ma non ha neanche potuto fare a meno di interrogarsi sul suo mistero, di cercare di penetrarlo, appena ha potuto disporre degli strumenti adatti, ed è nata la scienza.
Probabilmente è da questo incanto di fronte all’immensità, al mistero ed alla bellezza della natura che potrebbero essersi originate tutte le forme di spiritualità, le attività speculative a carattere logico-deduttivo, intrise di misticismo fin quando c’è stata la necessità di dover sopperire alla mancanza di comprensione, ma anche quelle cognitive olistico-sintetiche, il tutto mescolato in una sensibilità organica pervasa dal senso di comunione con il subconscio cosmico. Successivamente, quando gli strumenti razionali hanno raggiunto un grado di efficacia tale da non richiedere più alcuna azione suppletiva, hanno reclamato la propria indipendenza separandosi dai processi sintetico-gestaltici ritenuti ormai incompatibili.
Misticismo, scienza ed arte allora, si sono separati e l’uomo moderno si è dissociato (MacLuhan), riducendo tutto ad un sistema analitico per modelli semplificati: una forma mentale a cui sono legati tutti i processi moderni e che ha consentito alla civiltà contemporanea di raggiungere i suoi grandi numeri e la sua potenza, pagando questo prezzo.
Ma più di recente, la sicurezza deterministica della scienza è entrata in crisi già all’inizio del XX° secolo con la relatività del concetto di tempo e spazio introdotta dalle teorie einsteiniane, ed è stata definitivamente disintegrata dalle stranezze probabilistiche della meccanica quantistica (che lo stesso Einstein non riuscì mai ad accettare); è emersa così una nuova sensibilità che oggi, là, sul quel fronte dove si cerca di immaginare ciò che non è mai stato immaginato prima, si nutre della capacità visionaria e immaginifica che viene sempre prima del rigore scientifico e ne costituisce le radici profonde. Questa è l’unica linfa vitale che alimenta qualunque nuova ipotesi e ogni attività creativa.
Senza distinzioni!