ARCHITETTURA MATASSONI
di Alessandro e Leonardo Matassoni
30.06.15
IL SUPERMARKET DELLE IDEE
Verso un pensiero omologato?
“Un modo sicuro di indurre la gente a credere a cose false è la frequente ripetizione, perché la familiarità non si distingue facilmente dalla verità.”
Daniel Kahneman
L’idea moderna di avanguardia artistica come fase storica isolata e di rottura con ciò che l’ha preceduta, sembra un concetto legato al passato.
Di primo acchito la frequenza quasi quotidiana con cui si manifesta “il nuovo” dà la sensazione di un continuum che potrebbe essere rappresentato da un diagramma senza picchi in cui tali eventi si siano gradualmente avvicinati sempre di più fino a fondersi.
E’ un assurdo della contemporaneità ma, in realtà, non è chiaro se stiamo vivendo dentro ad un’avanguardia dilatata nel tempo, senza accorgercene perché ormai siamo assuefatti al ritmo incalzante del cambiamento, o se invece, il nostro sia un arco temporale arido di profonde innovazioni culturali e nel caso, ci chiediamo quali eventi difficilmente immaginabili dovremo attendere per vederle maturare?
Nel frattempo si va formando una coscienza collettiva omologata dai nuovi “media” la cui presunta capacità di catalisi culturale potrebbe rivelarsi almeno parzialmente mitologica; in effetti oggi si può tastare il polso del pianetae vedere in tempo reale il progresso della sperimentazione artistica più avanzata mentre avviene ma, ad uno sguardo più attento, notiamo un “sottile potere seduttivo della rete” che genera una chiara tendenza verso la massificazione. Allora la vera domanda da porsi è la seguente.
La globalizzazione culturale in atto è uno straordinario stimolatore del progresso per ogni tipo di attività umana, indistintamente, o è un’arma a doppio taglio?
Se le attività scientifiche traggono un grande beneficio da questo flusso rapido d’informazioni e idee, quelle ad “alto tasso di creatività”, come l’architettura, necessitano di molta più prudenza: da questo punto di vista infatti tutte le forme d’arte sono molto più delicate e gli architetti in particolare, per la loro sensibilità spaziale e visuale, sono più vulnerabili al potere persuasivo, quasi coercitivo, esercitato dalle lusinghe visive sotto forma di immagini, che ci vengono proposte ossessivamente. Questo genera i preconcetti che sono alla base delle mode e degli stilismi dell’architettura contemporanea.
Azzardando alcune considerazioni di tipo psicologico si potrebbe pensare che la discriminante stia nel fatto che in campo scientifico, anche se l’intuizione emerge dall’inconscio come l’ispirazione artistica, essa viene raccolta quasi subito dalla coscienza razionale che inizia sin dalle primissime fasi un processo di elaborazione necessariamente governato da leggi imprescindibili: il punto è che in questo caso, il “pensiero lento” basato sui processi mentali logico-deduttivi prevale ed è forse questa l’attitudine che consente la fertile contaminazione reciproca tra filoni di ricerca diversi senza cadere nella trappola dell’appiattimento culturale.
Nel caso del processo creativo invece sembra che sia il “pensiero veloce” a svolgere la parte principale (almeno fino alla fase tecnica) e che da esso derivino quelle forme di intelligenza emotiva strettamente legate alla produzione ed alla percezione dell’arte; in base ad alcune recenti teorie il problema consisterebbe nel fatto che quegli stessi circuiti cerebrali veloci sarebbero responsabili anche degli automatismi di vario livello (dal semplice riflesso al pensiero veloce) che hanno avuto grande importanza nella nostra storia biologica ma che, se scollegati dal vaglio lento e faticoso della razionalità, forniscono risposte immediate, magari anche complesse ma spesso fuorvianti se non sbagliate del tutto e, nonostante tutto, accettate come buone per una forma di indolenza intellettuale perché ottenute a buon mercato con il pilota automatico.
Insomma siamo a metà tra il regno nebbioso dell’inconscio e quello della coscienza che si contendono il controllo.
La cosa è ovviamente molto più complessa di così, ma si potrebbe affermare che in quella partita a tennis che è “il pensare” giocata tra l’emisfero cerebrale degli automatismi, iperattivo, veloce, facile ma anche fallace e quello evoluto della razionalità, del linguaggio e della piena consapevolezza, pigro, lento, faticoso ma molto più sicuro, l’attività artistica è probabilmente più sbilanciata verso il primo.
Il nocciolo della questione è proprio questo.
Da un lato, le caratteristiche dei media contemporanei ci espongono al pericolo della spersonalizzazione perché impongono ritmi frenetici sia nel fornire imput che nel sollecitare reazioni che, dall’altro lato, tendono ad essere fornite inconsciamente utilizzando le parti meno evolute del cervello.
Come in una illusione cognitiva di massa, la rapidità e la ripetitività del sistema che genera la coscienza (o incoscienza) collettiva contemporanea, sono gli elementi cruciali che portano all’abitudine e all’assuefazione e poi di conseguenza, all’accettazione acritica dei contenuti, anche solo per semplice riproposizione. Anche se, in generale, si tratta di un fenomeno spontaneo e privo di una finalizzazione programmata agisce in modo molto simile alle strategie del marketing facendo leva sulle stesse debolezze cognitive sfruttate sapientemente dai pubblicitari per il modo in cui viene ri-proposto lo stesso messaggio, adescando, lusingando e blandendo lo spirito critico del “consumatore”.
Per assurdo in un mondo confuso e frenetico in cui la novità in quanto tale è percepita già di per sé quasi come un valore, l’effetto finale di tutto questo potrebbe essere una forma di “consumismo culturale” galleggiante sulla superficie delle cose, un metabolismo accelerato che rischia di bruciare tutto troppo presto, sterilizzando persino le idee veramente nuove.
“Un modo sicuro di indurre la gente a credere a cose false è la frequente ripetizione, perché la familiarità non si distingue facilmente dalla verità.”
Daniel Kahneman
L’idea moderna di avanguardia artistica come fase storica isolata e di rottura con ciò che l’ha preceduta, sembra un concetto legato al passato.
Di primo acchito la frequenza quasi quotidiana con cui si manifesta “il nuovo” dà la sensazione di un continuum che potrebbe essere rappresentato da un diagramma senza picchi in cui tali eventi si siano gradualmente avvicinati sempre di più fino a fondersi.
E’ un assurdo della contemporaneità ma, in realtà, non è chiaro se stiamo vivendo dentro ad un’avanguardia dilatata nel tempo, senza accorgercene perché ormai siamo assuefatti al ritmo incalzante del cambiamento, o se invece, il nostro sia un arco temporale arido di profonde innovazioni culturali e nel caso, ci chiediamo quali eventi difficilmente immaginabili dovremo attendere per vederle maturare?
Nel frattempo si va formando una coscienza collettiva omologata dai nuovi “media” la cui presunta capacità di catalisi culturale potrebbe rivelarsi almeno parzialmente mitologica; in effetti oggi si può tastare il polso del pianetae vedere in tempo reale il progresso della sperimentazione artistica più avanzata mentre avviene ma, ad uno sguardo più attento, notiamo un “sottile potere seduttivo della rete” che genera una chiara tendenza verso la massificazione. Allora la vera domanda da porsi è la seguente.
La globalizzazione culturale in atto è uno straordinario stimolatore del progresso per ogni tipo di attività umana, indistintamente, o è un’arma a doppio taglio?
Se le attività scientifiche traggono un grande beneficio da questo flusso rapido d’informazioni e idee, quelle ad “alto tasso di creatività”, come l’architettura, necessitano di molta più prudenza: da questo punto di vista infatti tutte le forme d’arte sono molto più delicate e gli architetti in particolare, per la loro sensibilità spaziale e visuale, sono più vulnerabili al potere persuasivo, quasi coercitivo, esercitato dalle lusinghe visive sotto forma di immagini, che ci vengono proposte ossessivamente. Questo genera i preconcetti che sono alla base delle mode e degli stilismi dell’architettura contemporanea.
Azzardando alcune considerazioni di tipo psicologico si potrebbe pensare che la discriminante stia nel fatto che in campo scientifico, anche se l’intuizione emerge dall’inconscio come l’ispirazione artistica, essa viene raccolta quasi subito dalla coscienza razionale che inizia sin dalle primissime fasi un processo di elaborazione necessariamente governato da leggi imprescindibili: il punto è che in questo caso, il “pensiero lento” basato sui processi mentali logico-deduttivi prevale ed è forse questa l’attitudine che consente la fertile contaminazione reciproca tra filoni di ricerca diversi senza cadere nella trappola dell’appiattimento culturale.
Nel caso del processo creativo invece sembra che sia il “pensiero veloce” a svolgere la parte principale (almeno fino alla fase tecnica) e che da esso derivino quelle forme di intelligenza emotiva strettamente legate alla produzione ed alla percezione dell’arte; in base ad alcune recenti teorie il problema consisterebbe nel fatto che quegli stessi circuiti cerebrali veloci sarebbero responsabili anche degli automatismi di vario livello (dal semplice riflesso al pensiero veloce) che hanno avuto grande importanza nella nostra storia biologica ma che, se scollegati dal vaglio lento e faticoso della razionalità, forniscono risposte immediate, magari anche complesse ma spesso fuorvianti se non sbagliate del tutto e, nonostante tutto, accettate come buone per una forma di indolenza intellettuale perché ottenute a buon mercato con il pilota automatico.
Insomma siamo a metà tra il regno nebbioso dell’inconscio e quello della coscienza che si contendono il controllo.
La cosa è ovviamente molto più complessa di così, ma si potrebbe affermare che in quella partita a tennis che è “il pensare” giocata tra l’emisfero cerebrale degli automatismi, iperattivo, veloce, facile ma anche fallace e quello evoluto della razionalità, del linguaggio e della piena consapevolezza, pigro, lento, faticoso ma molto più sicuro, l’attività artistica è probabilmente più sbilanciata verso il primo.
Il nocciolo della questione è proprio questo.
Da un lato, le caratteristiche dei media contemporanei ci espongono al pericolo della spersonalizzazione perché impongono ritmi frenetici sia nel fornire imput che nel sollecitare reazioni che, dall’altro lato, tendono ad essere fornite inconsciamente utilizzando le parti meno evolute del cervello.
Come in una illusione cognitiva di massa, la rapidità e la ripetitività del sistema che genera la coscienza (o incoscienza) collettiva contemporanea, sono gli elementi cruciali che portano all’abitudine e all’assuefazione e poi di conseguenza, all’accettazione acritica dei contenuti, anche solo per semplice riproposizione. Anche se, in generale, si tratta di un fenomeno spontaneo e privo di una finalizzazione programmata agisce in modo molto simile alle strategie del marketing facendo leva sulle stesse debolezze cognitive sfruttate sapientemente dai pubblicitari per il modo in cui viene ri-proposto lo stesso messaggio, adescando, lusingando e blandendo lo spirito critico del “consumatore”.
Per assurdo in un mondo confuso e frenetico in cui la novità in quanto tale è percepita già di per sé quasi come un valore, l’effetto finale di tutto questo potrebbe essere una forma di “consumismo culturale” galleggiante sulla superficie delle cose, un metabolismo accelerato che rischia di bruciare tutto troppo presto, sterilizzando persino le idee veramente nuove.