nib.com architecture texts - ARTICLE
ARCHITETTURA MATASSONI
architect
01.04.15
IL SENSO DEL GENIUS LOCI
” La cosa più sublime che possiamo sperimentare è il senso del misterioso. Esso è la fonte di ogni vera arte e di ogni scienza. L’uomo al quale quell’emozione è estranea, che non è più capace di fermarsi a guardare immobile al colmo della meraviglia, è come se fosse morto. I suoi occhi sono chiusi”
Albert Einstein
Le architetture interessanti, innescano sempre catene di pensieri e similitudini con altre opere che fanno già parte della propria memoria architettonica acquisita nel corso del tempo; in questo senso la chiesa di Sao Pedro costruita da Paulo Mendes da Rocha nei dintorni della città di San Paolo a partire dal 1987, può essere certamente considerata un’architettura interessante. Tutta la sua opera colpisce per la rudezza materica, spinta quasi fino al non finito, che potrebbe far pensare all’incompiutezza di tutto un livello di studio, a una certa povertà di dettaglio e forse, persino ad una certa sciatteria a tanti architetti contemporanei indottrinati alla ricercatezza del particolare. E’ subito evidente però che si tratta di una posizione ideologica di tipo brutalista tendente alla riduzione degli elementi al minimo indispensabile, una rinuncia consapevole ad ogni forma di leziosità che punta alla forza pura del messaggio espressivo, utilizzando solo il minimo comune denominatore di ogni linguaggio architettonico; luce, spazio, rapporti di prossimità, proporzioni, forme, colori (in questo caso pochi), movimento dell’osservatore, dimensione psicologica dello spazio.
Tutto ciò non è certamente una novità e tantomeno un elemento esclusivo proprio di questo Architetto, collocandosi anzi all’interno di uno dei filoni linguistici che hanno attecchito meglio in Sud America e che, non a caso, sta trovando nuova linfa nell’architettura contemporanea “local” di altre parti emergenti del mondo grazie alla sua innegabile attitudine alla contestualizzazione e alla sua vocazione inclusiva verso i fattori ambientali. Potremmo definirlo come un gergo ormai storicizzato e adattato in ambito sudamericano e che probabilmente, costituisce una scelta naturale per un architetto brasiliano ma, in questo caso, senza dubbio anche una strategia espressiva consapevole. Questa “caratterizzazione rudimentale” infatti enfatizza la tensione dei volumi sospesi di P. Mendes da Rocha e ne trasmette il sottile messaggio subliminale che evoca “l’idea archetipica del riparo”; forse è questo l’elemento ricorrente più significativo presente in tutti i suoi lavori come anche nella chiesa di Sao Pedro dotata di una incisività che trae origine da pochi, potenti elementi architettonici.
Il primo è il gradone realizzato con un muro verticale, alto alcuni metri, che articola la sezione ambientale su cui è impostato l’edificio. Solo la spessa lastra di copertura, librandosi nel vuoto, emerge dal piano orizzontale superiore dominato dalla presenza ingombrante del vicinissimo palazzo storico del governatore, limitando l’impatto del “nuovo” e consentendone l’inserimento sulla base di un ovvio criterio di riduzione dimensionale. Questo semplice muro però ha anche un altro ruolo molto più importante; esso è l’unica superficie verticale e contribuisce a definire lo spazio architettonico che invece, su tutti gli altri lati si proietta orizzontalmente all’esterno a 180 gradi verso il paesaggio montano circostante. Si tratta di un fondale che, in un certo senso, riesce ad ancorare al suolo “un’architettura esplosa”, orientandola e mettendola in un rapporto di dialogo con il panorama privo di limiti, recependolo all’interno di essa e creando un rapporto di scala. Gli altri due principali fattori della composizione sono la copertura sbalzata dal pilastrone centrale e la navata dalla forma libera, sospesa anch’essa sopra ad uno specchio d’acqua; lo spazio interno, praticamente inesistente in quanto tale, è appena delimitato tra queste due piastre orizzontali sospese e il muro posteriore e il tutto acquisisce, nonostante la massa dei tre elementi in calcestruzzo, una certa leggerezza e libertà compositiva accentuata dalla geometria lievemente anarchica della navata aerea che sembra voler sfuggire dalla sua posizione. I componenti accessori come scale e ballatoi, anch’essi sospesi, partecipano a creare la sensazione di una composizione libera di oggetti.
La superficie vitrea che chiude fisicamente lo spazio interno non ha alcun peso dal punto di vista compositivo e non altera in alcun modo il contatto diretto con gli elementi naturali primari: il cielo, il profilo dell’orizzonte, il giardino che circonda l’edificio vengono portati all’interno attraverso l’effetto specchiante della superficie liquida della vasca d’acqua che allaga, internamente, tutto il livello inferiore. Si tratta di un’architettura aperta che, come edificio religioso, manifesta una “spiritualità immanente” molto diversa dalla maggior parte delle architetture sacre moderne, occidentali e non, caratterizzate quasi sempre da un senso di clausura trascendente, raccoglimento e tensione spirituale; qui è la bellezza e la grandiosità dell’ambiente naturale coinvolto a conferire sacralità allo spazio architettonico, a suggerire l’idea stessa del “Divino” attraverso l’evidenza della sua manifestazione, là invece, attraverso “catalizzatori psicologici” come l’uso attento della luce, si è indotti al ripiegamento introspettivo e alla ricerca in sé stessi.
Qui l’architettura agisce sulle stesse sensazioni primitive che, in tempi remoti hanno ispirato spontaneamente il senso del soprannaturale, là invece, rappresenta il “sovrumano” sulla base delle sovrastrutture culturali imposte dalle religioni storiche. Insomma quest’opera è dotata di un misticismo molto diverso da quello che attraversa, in forma architettonica di edificio sacro, tutto il movimento moderno: dalla sacrestia della chiesa del convento de “La Tourette”, al sacrario del recentissimo museo di Gerusalemme di Safdie (tra l’altro ispirato chiaramente al cilindro di granito sospeso sull’altare dei martiri ipotizzato da Terragni nel primo progetto per il Palazzo Littorio del 1934), dal Danteum alla chiesa realizzata da Fuksas a Foligno, dal sacrario delle Fosse Ardeatine alla Chiesa della Luce di Ando..
Per questa sua naturalità primitiva la chiesa di Sao Pedro ha qualcosa di propriamente brasiliano e fornisce nel senso più profondo un’interpretazione local, in un certo senso, potremmo dire che in questo caso l’architettura esprime davvero il genius loci, attingendo e alludendo ad un universo mentale e psicologico comune più e prima che all’ambiente fisico in senso stretto.
Albert Einstein
Le architetture interessanti, innescano sempre catene di pensieri e similitudini con altre opere che fanno già parte della propria memoria architettonica acquisita nel corso del tempo; in questo senso la chiesa di Sao Pedro costruita da Paulo Mendes da Rocha nei dintorni della città di San Paolo a partire dal 1987, può essere certamente considerata un’architettura interessante. Tutta la sua opera colpisce per la rudezza materica, spinta quasi fino al non finito, che potrebbe far pensare all’incompiutezza di tutto un livello di studio, a una certa povertà di dettaglio e forse, persino ad una certa sciatteria a tanti architetti contemporanei indottrinati alla ricercatezza del particolare. E’ subito evidente però che si tratta di una posizione ideologica di tipo brutalista tendente alla riduzione degli elementi al minimo indispensabile, una rinuncia consapevole ad ogni forma di leziosità che punta alla forza pura del messaggio espressivo, utilizzando solo il minimo comune denominatore di ogni linguaggio architettonico; luce, spazio, rapporti di prossimità, proporzioni, forme, colori (in questo caso pochi), movimento dell’osservatore, dimensione psicologica dello spazio.
Tutto ciò non è certamente una novità e tantomeno un elemento esclusivo proprio di questo Architetto, collocandosi anzi all’interno di uno dei filoni linguistici che hanno attecchito meglio in Sud America e che, non a caso, sta trovando nuova linfa nell’architettura contemporanea “local” di altre parti emergenti del mondo grazie alla sua innegabile attitudine alla contestualizzazione e alla sua vocazione inclusiva verso i fattori ambientali. Potremmo definirlo come un gergo ormai storicizzato e adattato in ambito sudamericano e che probabilmente, costituisce una scelta naturale per un architetto brasiliano ma, in questo caso, senza dubbio anche una strategia espressiva consapevole. Questa “caratterizzazione rudimentale” infatti enfatizza la tensione dei volumi sospesi di P. Mendes da Rocha e ne trasmette il sottile messaggio subliminale che evoca “l’idea archetipica del riparo”; forse è questo l’elemento ricorrente più significativo presente in tutti i suoi lavori come anche nella chiesa di Sao Pedro dotata di una incisività che trae origine da pochi, potenti elementi architettonici.
Il primo è il gradone realizzato con un muro verticale, alto alcuni metri, che articola la sezione ambientale su cui è impostato l’edificio. Solo la spessa lastra di copertura, librandosi nel vuoto, emerge dal piano orizzontale superiore dominato dalla presenza ingombrante del vicinissimo palazzo storico del governatore, limitando l’impatto del “nuovo” e consentendone l’inserimento sulla base di un ovvio criterio di riduzione dimensionale. Questo semplice muro però ha anche un altro ruolo molto più importante; esso è l’unica superficie verticale e contribuisce a definire lo spazio architettonico che invece, su tutti gli altri lati si proietta orizzontalmente all’esterno a 180 gradi verso il paesaggio montano circostante. Si tratta di un fondale che, in un certo senso, riesce ad ancorare al suolo “un’architettura esplosa”, orientandola e mettendola in un rapporto di dialogo con il panorama privo di limiti, recependolo all’interno di essa e creando un rapporto di scala. Gli altri due principali fattori della composizione sono la copertura sbalzata dal pilastrone centrale e la navata dalla forma libera, sospesa anch’essa sopra ad uno specchio d’acqua; lo spazio interno, praticamente inesistente in quanto tale, è appena delimitato tra queste due piastre orizzontali sospese e il muro posteriore e il tutto acquisisce, nonostante la massa dei tre elementi in calcestruzzo, una certa leggerezza e libertà compositiva accentuata dalla geometria lievemente anarchica della navata aerea che sembra voler sfuggire dalla sua posizione. I componenti accessori come scale e ballatoi, anch’essi sospesi, partecipano a creare la sensazione di una composizione libera di oggetti.
La superficie vitrea che chiude fisicamente lo spazio interno non ha alcun peso dal punto di vista compositivo e non altera in alcun modo il contatto diretto con gli elementi naturali primari: il cielo, il profilo dell’orizzonte, il giardino che circonda l’edificio vengono portati all’interno attraverso l’effetto specchiante della superficie liquida della vasca d’acqua che allaga, internamente, tutto il livello inferiore. Si tratta di un’architettura aperta che, come edificio religioso, manifesta una “spiritualità immanente” molto diversa dalla maggior parte delle architetture sacre moderne, occidentali e non, caratterizzate quasi sempre da un senso di clausura trascendente, raccoglimento e tensione spirituale; qui è la bellezza e la grandiosità dell’ambiente naturale coinvolto a conferire sacralità allo spazio architettonico, a suggerire l’idea stessa del “Divino” attraverso l’evidenza della sua manifestazione, là invece, attraverso “catalizzatori psicologici” come l’uso attento della luce, si è indotti al ripiegamento introspettivo e alla ricerca in sé stessi.
Qui l’architettura agisce sulle stesse sensazioni primitive che, in tempi remoti hanno ispirato spontaneamente il senso del soprannaturale, là invece, rappresenta il “sovrumano” sulla base delle sovrastrutture culturali imposte dalle religioni storiche. Insomma quest’opera è dotata di un misticismo molto diverso da quello che attraversa, in forma architettonica di edificio sacro, tutto il movimento moderno: dalla sacrestia della chiesa del convento de “La Tourette”, al sacrario del recentissimo museo di Gerusalemme di Safdie (tra l’altro ispirato chiaramente al cilindro di granito sospeso sull’altare dei martiri ipotizzato da Terragni nel primo progetto per il Palazzo Littorio del 1934), dal Danteum alla chiesa realizzata da Fuksas a Foligno, dal sacrario delle Fosse Ardeatine alla Chiesa della Luce di Ando..
Per questa sua naturalità primitiva la chiesa di Sao Pedro ha qualcosa di propriamente brasiliano e fornisce nel senso più profondo un’interpretazione local, in un certo senso, potremmo dire che in questo caso l’architettura esprime davvero il genius loci, attingendo e alludendo ad un universo mentale e psicologico comune più e prima che all’ambiente fisico in senso stretto.