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ARCHITETTURA MATASSONI
verso la città del domani - parte 2 ..........
24.11.14
RAPSODIA URBANA
“Il problema non è mai come farsi venire in testa pensieri nuovi, innovativi, ma come togliersi dalla mente quelli vecchi……….. ripulite un angolino della vostra mente e la creatività andrà immediatamente ad occuparlo”
Dee Hock
Uno dei fattori chiave alla base della qualità dello spazio urbano è il tempo che lo trasforma e lo modifica adattandolo alla natura, all’economia e all’uomo.
Il tempo e la pressione dell’ambiente, inteso in senso lato, sono ciò che lentamente ha discriminato e trasformato la città, organizzando un fenomeno spontaneo altrimenti disordinato; un processo molto simile a quello dell’evoluzione naturale e, in molti sensi non del tutto separato da esso.
Una seconda riflessione ci porta a considerare che se c’è un oggetto di studio per il quale l’approccio deterministico – lineare non ha dato buoni risultati è proprio questo, la città, intesa come ecosistema dinamico e complesso per il quale il principio di sovrapposizione degli effetti non può valere.
Il suo processo di sviluppo contiene già oggi alcune ben chiare direttrici legate all’esplosione della tecnologia informatica, che sembrano convergere tutte coerentemente verso un modello di città molto diverso da quello che conosciamo; esse sembrano delineare un macro-organismo dotato di una sua fisiologia, di una capacità reattiva e di una forma di intelligenza collettiva, in un certo senso una “città vivente”.
Logica evolutiva e approccio non lineare inducono a guardare oltre l’orizzonte, verso altri campi di studio.
Già da alcuni anni scienziati ed ingegneri utilizzano gli algoritmi genetici per la soluzione di problemi complessi spaziando dal riconoscimento del parlato alla progettazione di motori per jet; con questi processi iterativi i progettisti non programmano una soluzione ma piuttosto lasciano che ne emerga una spontaneamente, la migliore possibile, scelta automaticamente con la competizione ed il perfezionamento progressivo attraverso “cicli successivi di selezione naturale simulata”.
Il punto è che ispirandosi all’efficienza del processo evolutivo, gli algoritmi genetici raggiungono soluzioni perfettamente adattate alle condizioni ambientali simulate con un altissimo grado di finezza ma anche con i tempi rapidi consentiti dalla potenza di calcolo di cui disponiamo.
Se questi strumenti potessero essere innestati in un processo progettuale tradizionale, potrebbero consentirci di superare finalmente la millenaria impostazione analitica e semplicistica dell’urbanistica attuale?
Potrebbero consentirci di mettere a punto un metodo pseudoscientifico adatto a progettare la città del futuro?
Lungo questa via nuova e difficile da tracciare, il maggiore ostacolo probabilmente sarebbe costituito dalla scelta e dalla calibratura dei parametri, dotati di un proprio “peso specifico”, destinati alla selezione dei risultati prodotti da ogni ciclo. Insomma come impostare gli imput sulla base dei quali il sistema dovrebbe scegliere automaticamente le soluzioni (organismi simulati) più adatte per dare l’avvio ad una nuova iterazione?
La difficile scelta di questi criteri infatti ci metterebbe di fronte ad elementi complessi ma oggettivi, come per esempio la situazione geomorfologica o climatica, ma anche ad altri fattori molto più sfuggenti e sfumati come quelli psicologici sulla base dei quali gli esseri umani percepiscono l’ambiente. Una sfida ardua e ad oggi inattuabile, ma gli studi dedicati alla retroingegnerizzazione del cervello che già si stanno conducendo (come il “blue brain project”) se non altro, fanno pensare all’eventualità di poter studiare le reazioni della mente a determinate “scene ambientali” riprodotte virtualmente.
Persuasi che questi “fattori psicologici” siano universali in quanto frutto di natura (genetica) più che di cultura, siamo portati ad ipotizzare la possibilità di estrapolare delle “leggi percettive comuni” basate su dati statistici, ovvero siamo portati a credere alla possibilità di “decodificare la percezione spaziale media”.
Le promesse delle nuove tecnologie infatti, autorizzano a spingersi oltre la realtà immaginando nuovi metodi basati sull’interazione aperta tra mente umana ed artificiale: essi potrebbero essere messi a punto coinvolgendo un certo numero di cittadini collaboratori in un processo all’interno del quale i trainers umani, con l’ausilio di una realtà virtuale sofisticata combinata a tecniche di scansione cerebrale adeguatamente raffinate, fornirebbero dati preziosi sull’esperienza architettonica e darebbero un impulso fondamentale allo sviluppo di forme specializzate di intelligenza sintetica, istruendole!
E’ certamente difficile ipotizzare oggi quali saranno i mezzi più adatti alla progettazione urbana del futuro, ma sicuramente dovremo rinunciare definitivamente ai grezzi strumenti attuali per adottare un approccio in grado di affrontare la città quale ecosistema complesso; in un certo senso si tratta di allinearsi ad una diversa posizione filosofica che, in ambito scientifico, va affermandosi già dall’ultima decade del secolo scorso per cominciare a pensare la città postmoderna!
Dee Hock
Uno dei fattori chiave alla base della qualità dello spazio urbano è il tempo che lo trasforma e lo modifica adattandolo alla natura, all’economia e all’uomo.
Il tempo e la pressione dell’ambiente, inteso in senso lato, sono ciò che lentamente ha discriminato e trasformato la città, organizzando un fenomeno spontaneo altrimenti disordinato; un processo molto simile a quello dell’evoluzione naturale e, in molti sensi non del tutto separato da esso.
Una seconda riflessione ci porta a considerare che se c’è un oggetto di studio per il quale l’approccio deterministico – lineare non ha dato buoni risultati è proprio questo, la città, intesa come ecosistema dinamico e complesso per il quale il principio di sovrapposizione degli effetti non può valere.
Il suo processo di sviluppo contiene già oggi alcune ben chiare direttrici legate all’esplosione della tecnologia informatica, che sembrano convergere tutte coerentemente verso un modello di città molto diverso da quello che conosciamo; esse sembrano delineare un macro-organismo dotato di una sua fisiologia, di una capacità reattiva e di una forma di intelligenza collettiva, in un certo senso una “città vivente”.
Logica evolutiva e approccio non lineare inducono a guardare oltre l’orizzonte, verso altri campi di studio.
Già da alcuni anni scienziati ed ingegneri utilizzano gli algoritmi genetici per la soluzione di problemi complessi spaziando dal riconoscimento del parlato alla progettazione di motori per jet; con questi processi iterativi i progettisti non programmano una soluzione ma piuttosto lasciano che ne emerga una spontaneamente, la migliore possibile, scelta automaticamente con la competizione ed il perfezionamento progressivo attraverso “cicli successivi di selezione naturale simulata”.
Il punto è che ispirandosi all’efficienza del processo evolutivo, gli algoritmi genetici raggiungono soluzioni perfettamente adattate alle condizioni ambientali simulate con un altissimo grado di finezza ma anche con i tempi rapidi consentiti dalla potenza di calcolo di cui disponiamo.
Se questi strumenti potessero essere innestati in un processo progettuale tradizionale, potrebbero consentirci di superare finalmente la millenaria impostazione analitica e semplicistica dell’urbanistica attuale?
Potrebbero consentirci di mettere a punto un metodo pseudoscientifico adatto a progettare la città del futuro?
Lungo questa via nuova e difficile da tracciare, il maggiore ostacolo probabilmente sarebbe costituito dalla scelta e dalla calibratura dei parametri, dotati di un proprio “peso specifico”, destinati alla selezione dei risultati prodotti da ogni ciclo. Insomma come impostare gli imput sulla base dei quali il sistema dovrebbe scegliere automaticamente le soluzioni (organismi simulati) più adatte per dare l’avvio ad una nuova iterazione?
La difficile scelta di questi criteri infatti ci metterebbe di fronte ad elementi complessi ma oggettivi, come per esempio la situazione geomorfologica o climatica, ma anche ad altri fattori molto più sfuggenti e sfumati come quelli psicologici sulla base dei quali gli esseri umani percepiscono l’ambiente. Una sfida ardua e ad oggi inattuabile, ma gli studi dedicati alla retroingegnerizzazione del cervello che già si stanno conducendo (come il “blue brain project”) se non altro, fanno pensare all’eventualità di poter studiare le reazioni della mente a determinate “scene ambientali” riprodotte virtualmente.
Persuasi che questi “fattori psicologici” siano universali in quanto frutto di natura (genetica) più che di cultura, siamo portati ad ipotizzare la possibilità di estrapolare delle “leggi percettive comuni” basate su dati statistici, ovvero siamo portati a credere alla possibilità di “decodificare la percezione spaziale media”.
Le promesse delle nuove tecnologie infatti, autorizzano a spingersi oltre la realtà immaginando nuovi metodi basati sull’interazione aperta tra mente umana ed artificiale: essi potrebbero essere messi a punto coinvolgendo un certo numero di cittadini collaboratori in un processo all’interno del quale i trainers umani, con l’ausilio di una realtà virtuale sofisticata combinata a tecniche di scansione cerebrale adeguatamente raffinate, fornirebbero dati preziosi sull’esperienza architettonica e darebbero un impulso fondamentale allo sviluppo di forme specializzate di intelligenza sintetica, istruendole!
E’ certamente difficile ipotizzare oggi quali saranno i mezzi più adatti alla progettazione urbana del futuro, ma sicuramente dovremo rinunciare definitivamente ai grezzi strumenti attuali per adottare un approccio in grado di affrontare la città quale ecosistema complesso; in un certo senso si tratta di allinearsi ad una diversa posizione filosofica che, in ambito scientifico, va affermandosi già dall’ultima decade del secolo scorso per cominciare a pensare la città postmoderna!