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ARCHITETTURA MATASSONI
verso la città del domani - parte 1 ..........
24.11.14
COLONIA URBANA
“Le leggi della storia sono assolute come quelle della fisica, e se in essa le probabilità di errore sono maggiori è solo perché la storia ha a che fare con gli esseri umani che sono assai meno numerosi degli atomi, ed è per questa ragione che le variazioni individuali hanno un maggior valore.”
Da “Fondazione e impero” Isaac Asimov
Per una città futura interattiva e superconnessa, abitata da milioni di individui sarebbe realistico ipotizzare dei comportamenti comuni, delle reazioni di massa immediate a determinati stimoli ambientali?
La dimensione urbana rimane tutt’oggi un campo d’indagine in cui l’architettura moderna e quella contemporanea non sono ancora riuscite a fornire risposte convincenti.
Le tipologie urbane proposte negli ultimi cinquanta anni come oggi, sono approssimazioni, modelli semplificati, strumenti eccessivamente grezzi ai quali si è cercato di ricondurre un sistema complesso; è l'effetto del metodo scientifico classico, riduzionista e analitico che tende a smontare l’insieme ed a capirne il funzionamento attraverso la comprensione delle singole unità componenti.
Nonostante la loro qualità architettonica anche le migliori teorizzazioni degli anni sessanta e settanta del secolo scorso costituiscono delle semplificazioni; con gli occhi di oggi, passando in rassegna certe proposte, anche le più concrete come quelle metaboliste o le macrostrutture soleriane o quelle di Pellegrin, appare evidente il loro carattere utopico, non tanto per l’arditezza tecnologica o per la capacità decisionale che avrebbe presupposto la loro realizzazione, difficilmente immaginabile in una democrazia moderna, ma soprattutto perché si basavano sull’idea di fondo secondo la quale la figura dell’architetto – demiurgo, potesse essere in grado di elaborare isolatamente proposte capaci di risolvere un problema così complesso.
I progetti contemporanei delle “instant cities” asiatiche, cinesi in particolare, avrebbero potuto costituire un’opportunità; in questi casi infatti si è potuto fruire delle esperienze del secolo scorso e di una governance senz’altro più decisionista, ma nonostante questo, aldilà delle lusinghe formalistiche “oggettuali” alla Hadid e delle concessioni alla “green economy” percepite come simboli di modernità, in fondo non sembrano poter produrre grandi novità, né nel metodo, né nel merito, rispetto a modelli più vecchi di decenni.
Allora nel prossimo futuro con quali strumenti si potrà affrontare questo compito molto più complesso della progettazione architettonica in sé, poiché si tratta di captare e assecondare le direttrici di sviluppo già in atto in tutta la loro complessità, ma anche di determinarne il corso.
Volendo ripartire con le nostre considerazioni da alcune, poche, certezze si può senz’altro dire che la città contemporanea non cresce più con la stessa rapidità di quella che ha ispirato i vecchi modelli, ma continua a mutare diventando un ambiente sempre più interattivo in cui la comunicazione istantanea e la dimensione virtuale finiranno per costituire un aspetto altrettanto importante di quello fisico.
In questo senso si ha l’impressione di essere all’inizio di un processo di trasformazione i cui esiti sono difficilmente prevedibili anche perché legato strettamente a tecnologie in rapidissima evoluzione.
Dunque si dovrebbe inventare un nuovo tipo di approccio progettuale ancora inesistente e “non lineare”, sul quale poter innestare l’apporto sempre fondamentale dell’architetto all’interno di un processo progettuale in grado di passare dalla scala architettonica a quella urbana senza vuoti sia per l’ambiente fisico che per quello virtuale.
Riflettendo sulla fisiologia della città contemporanea, forse si possono ipotizzare alcune analogie interessanti con i sistemi naturali complessi nel far funzionare i quali, sembra che la natura abbia una particolare predilezione verso strutture dotate di uno spiccato “parallelismo” e di una notevole capacità di auto-organizzazione a partire da una situazione iniziale caotica e priva di controllo centralizzato.
Insomma potrebbe essere utile capire il modo in cui essa gestisce la complessità a partire dalla casualità e dalla semplicità.
E’ partendo da unità singolarmente semplici e dotate di capacità relativamente limitate infatti che le colonie di insetti sociali, per esempio, riescono a fornire risposte estremamente complesse attraverso retroazioni positive o negative, che influenzano il comportamento degli altri individui generando una risposta comune (stigmergia).
Dal sistema emergono così reazioni articolate attraverso una forma d’intelligenza collettiva; è la teoria dello “sciame intelligente”.
Il parallelo con le colonie di insetti appare calzante soprattutto pensando a certi nuovi fenomeni sociali come i cosiddetti “flash mob” (forme di mobilitazione di massa possibili con la comunicazione istantanea attraverso la rete) o più in generale ai “comportamenti emergenti” generati dall’attuale già grande connettività degli ambienti urbani attraverso i dispositivi personali “smart” che innescano processi di comunicazione e risposta comune e istantanea paragonabili a quelli dei sistemi naturali (che ovviamente sfruttano la chimica).
Tutto sommato ogni singolo individuo che vive e si muove all’interno della città, in quanto a percezione dell’ambiente urbano nel suo insieme, non è forse paragonabile al singolo insetto della colonia?
In un sistema caratterizzato da grandi numeri, anche la variabile costituita dalla personalità e dalla risposta singolarmente imprevedibile e complessa che ogni essere umano può fornire con il proprio libero arbitrio è probabilmente riconducibile statisticamente ad un comportamento di tipo comune.
La teoria dello “sciame intelligente” ha ispirato già da qualche anno alcuni studi sulla sostenibilità degli ambienti chiusi basati sul funzionamento interno dei termitai ed in particolare sull’efficienza dei loro sistemi di ventilazione; in vista delle grandi capacità computazionali di cui potremo disporre tra qualche anno, ci chiediamo se questa teoria non possa costituire anche un possibile spunto per lo sviluppo di nuovi e più raffinati metodi applicabili allo studio e allo sviluppo della forma fisica delle “colonie umane” del prossimo futuro.
Da “Fondazione e impero” Isaac Asimov
Per una città futura interattiva e superconnessa, abitata da milioni di individui sarebbe realistico ipotizzare dei comportamenti comuni, delle reazioni di massa immediate a determinati stimoli ambientali?
La dimensione urbana rimane tutt’oggi un campo d’indagine in cui l’architettura moderna e quella contemporanea non sono ancora riuscite a fornire risposte convincenti.
Le tipologie urbane proposte negli ultimi cinquanta anni come oggi, sono approssimazioni, modelli semplificati, strumenti eccessivamente grezzi ai quali si è cercato di ricondurre un sistema complesso; è l'effetto del metodo scientifico classico, riduzionista e analitico che tende a smontare l’insieme ed a capirne il funzionamento attraverso la comprensione delle singole unità componenti.
Nonostante la loro qualità architettonica anche le migliori teorizzazioni degli anni sessanta e settanta del secolo scorso costituiscono delle semplificazioni; con gli occhi di oggi, passando in rassegna certe proposte, anche le più concrete come quelle metaboliste o le macrostrutture soleriane o quelle di Pellegrin, appare evidente il loro carattere utopico, non tanto per l’arditezza tecnologica o per la capacità decisionale che avrebbe presupposto la loro realizzazione, difficilmente immaginabile in una democrazia moderna, ma soprattutto perché si basavano sull’idea di fondo secondo la quale la figura dell’architetto – demiurgo, potesse essere in grado di elaborare isolatamente proposte capaci di risolvere un problema così complesso.
I progetti contemporanei delle “instant cities” asiatiche, cinesi in particolare, avrebbero potuto costituire un’opportunità; in questi casi infatti si è potuto fruire delle esperienze del secolo scorso e di una governance senz’altro più decisionista, ma nonostante questo, aldilà delle lusinghe formalistiche “oggettuali” alla Hadid e delle concessioni alla “green economy” percepite come simboli di modernità, in fondo non sembrano poter produrre grandi novità, né nel metodo, né nel merito, rispetto a modelli più vecchi di decenni.
Allora nel prossimo futuro con quali strumenti si potrà affrontare questo compito molto più complesso della progettazione architettonica in sé, poiché si tratta di captare e assecondare le direttrici di sviluppo già in atto in tutta la loro complessità, ma anche di determinarne il corso.
Volendo ripartire con le nostre considerazioni da alcune, poche, certezze si può senz’altro dire che la città contemporanea non cresce più con la stessa rapidità di quella che ha ispirato i vecchi modelli, ma continua a mutare diventando un ambiente sempre più interattivo in cui la comunicazione istantanea e la dimensione virtuale finiranno per costituire un aspetto altrettanto importante di quello fisico.
In questo senso si ha l’impressione di essere all’inizio di un processo di trasformazione i cui esiti sono difficilmente prevedibili anche perché legato strettamente a tecnologie in rapidissima evoluzione.
Dunque si dovrebbe inventare un nuovo tipo di approccio progettuale ancora inesistente e “non lineare”, sul quale poter innestare l’apporto sempre fondamentale dell’architetto all’interno di un processo progettuale in grado di passare dalla scala architettonica a quella urbana senza vuoti sia per l’ambiente fisico che per quello virtuale.
Riflettendo sulla fisiologia della città contemporanea, forse si possono ipotizzare alcune analogie interessanti con i sistemi naturali complessi nel far funzionare i quali, sembra che la natura abbia una particolare predilezione verso strutture dotate di uno spiccato “parallelismo” e di una notevole capacità di auto-organizzazione a partire da una situazione iniziale caotica e priva di controllo centralizzato.
Insomma potrebbe essere utile capire il modo in cui essa gestisce la complessità a partire dalla casualità e dalla semplicità.
E’ partendo da unità singolarmente semplici e dotate di capacità relativamente limitate infatti che le colonie di insetti sociali, per esempio, riescono a fornire risposte estremamente complesse attraverso retroazioni positive o negative, che influenzano il comportamento degli altri individui generando una risposta comune (stigmergia).
Dal sistema emergono così reazioni articolate attraverso una forma d’intelligenza collettiva; è la teoria dello “sciame intelligente”.
Il parallelo con le colonie di insetti appare calzante soprattutto pensando a certi nuovi fenomeni sociali come i cosiddetti “flash mob” (forme di mobilitazione di massa possibili con la comunicazione istantanea attraverso la rete) o più in generale ai “comportamenti emergenti” generati dall’attuale già grande connettività degli ambienti urbani attraverso i dispositivi personali “smart” che innescano processi di comunicazione e risposta comune e istantanea paragonabili a quelli dei sistemi naturali (che ovviamente sfruttano la chimica).
Tutto sommato ogni singolo individuo che vive e si muove all’interno della città, in quanto a percezione dell’ambiente urbano nel suo insieme, non è forse paragonabile al singolo insetto della colonia?
In un sistema caratterizzato da grandi numeri, anche la variabile costituita dalla personalità e dalla risposta singolarmente imprevedibile e complessa che ogni essere umano può fornire con il proprio libero arbitrio è probabilmente riconducibile statisticamente ad un comportamento di tipo comune.
La teoria dello “sciame intelligente” ha ispirato già da qualche anno alcuni studi sulla sostenibilità degli ambienti chiusi basati sul funzionamento interno dei termitai ed in particolare sull’efficienza dei loro sistemi di ventilazione; in vista delle grandi capacità computazionali di cui potremo disporre tra qualche anno, ci chiediamo se questa teoria non possa costituire anche un possibile spunto per lo sviluppo di nuovi e più raffinati metodi applicabili allo studio e allo sviluppo della forma fisica delle “colonie umane” del prossimo futuro.